Quanto tempo dedichiamo al gioco? Da un po’ di tempo ho questa domanda nella testa. E mi sono risposto che molto spesso dedichiamo parte del nostro tempo all’attività fisica e al benessere; sempre però in una dimensione individuale, per certi versi “atomistica”. Lo facciamo per stare bene, per staccare dalle tensioni della giornata, per rimetterci in forma o a volte per rispondere a canoni estetici sempre più pressanti. Ma il gioco di cui parlo non è propriamente questo. Ciò che ho in mente è una dimensione precisa e dalle infinite possibilità. È il gioco che non ci mette in competizione bensì in relazione, che ci spinge ad incontrare l’altro nella sua unicità, ci stimola a collaborare per ottenere un obiettivo comune. È il gioco cooperativo inserito in un laboratorio teatrale di drammatizzazione.
Qualcosa di magico direbbe qualcuno. Certo, e quella magia si è manifestata domenica 19 dicembre al Teatro del Parco di Mestre nel workshop di Educazione alla Teatralità rivolto agli adulti che ho tenuto.
Organizzato dalle Associazioni Live Arts Cultures, Macaco Record e Farmacia Zooe, con il sostegno del Settore Cultura del Comune di Venezia che mi ha selezionato assieme ad altri workshop e laboratori che stanno rendendo quel teatro linfa vitale per il territorio di Mestre.
In una giornata intera abbiamo avuto l’opportunità di immergerci nella dimensione del gioco che quotidianamente sperimentiamo troppo poco. Abbiamo messo delle regole di partenza: disponibilità, libertà di fare le proposte ed ascoltare la sensibilità degli altri. E abbiamo iniziato a giocare; con l’espressività, la creatività e l’immaginazione.
Strada facendo ci siamo accorti che vita e gioco sono strettamente legati tra loro, poiché quest’ultimo è manifestazione dell’impulso vitale di ciascuno di noi e che l’attività ludica è fondamentale. La sua mancanza è ostacolo al raggiungimento della felicità e di una consapevole socialità in ogni fase della vita, compresa quella adulta.
Abbiamo affermato il nostro bisogno di spingerci al gioco, di trovare spazi e dimensioni che permettano di esplorarlo: lo strumento migliore per farlo è il teatro perché possiede l’alchimia perfetta.
Giocare ci permette di essere sinceri, facendoci guidare dal bisogno e dalla curiosità, senza mai staccarsi dalla realtà, perché il gioco non è finzione. Ha un’azione finalizzata ma non finge mai. In lui non c’è rappresentazione.
Esso ci indica la strada per recuperare la sincerità dell’agire e riacquisire la freschezza e la disponibilità: il gioco di drammatizzazione nel teatro interpreta perfettamente quella strada perché è legato indissolubilmente all’improvvisazione come metodologia di lavoro e di conseguenza alla libertà di esprimersi.
Giocando solo con gli elementi disponibili agiamo sulla nostra creatività assieme a quella del gruppo. In questo modo diventa spontaneo lasciarsi andare e farsi guidare dal flusso creativo che, una volta stimolato, ci permette di osservare la realtà da un altro punto di vista.
Portare nel corpo la realtà che ci circonda rende tutto più immediato, leggero e stimolante. Il fatto di sapere che affianco a noi c’è qualcuno che desidera sentirsi libero è uno stimolo anche per noi stessi, per abbandonare o smontare alcune strutture che ci vogliono sempre dentro ad uno schema precostituito. Uscire dagli schemi. Sovvertire le regole date per trovarne di nuove.
Ci siamo detti che giocare a teatro è come essere ad una festa in cui ci hanno invitati per essere noi stessi, senza alcuna maschera e con una regola soltanto: niente sassi nelle tasche che appesantiscono le idee.
Eravamo in 18. Venivamo da parti diverse del Veneto, con formazioni, vite e professioni differenti, ma l’arte del teatro ha creato quel terreno comune in cui ci siamo riconosciuti fin dall’inizio. Ed è stato magico.